Spluga della Preta

Catasto: V-VR-0001

L'Abisso

La Spluga della Preta è uno dei più famosi abissi del mondo, un vuoto profondissimo all'interno del Corno d'Aquilio, sotto i pascoli dei Monti Lessini Veronesi, nel comune di Sant'Anna d'Alfaedo.

L'esplorazione dell'abisso è cominciata nel 1925, ottant'anni fa. Le spedizioni pionieristiche di quei tempi hanno dato inizio a una avventura della conoscenza che si è protratta con una serie di incredibili imprese fino ad ora.

La Spluga della Preta infatti "è la speleologia", o meglio, è sicuramente la grotta che più di ogni altra in Italia è legata alla storia della speleologia esplorativa, nel bene e nel male, e ne può essere considerata, in un certo senso, il simbolo, il campo ove si sono confrontati sogni, ideali, truffe, modi diversissimi di interpretare l'esplorazione degli abissi, tecniche diverse, ma soprattutto un libro in cui sono state scritte alcune delle pagine più esaltanti non solo della speleologia mondiale, ma dell'esplorazione in senso lato.

L'aspetto più affascinante della Spluga della Preta è che il mistero di quest'abisso, che fila giù nel cuore della montagna, non è ancora stato svelato. Generazioni di speleologi hanno provato ad inseguire le correnti d'aria che molto probabilmente fluiscono verso la Val d'Adige, ma per il momento solo i pipistrelli conoscono la via per la luce dell'esterno e le argille verdi delle antichissime gallerie del Canyon Verde custodiscono gelosamente questo segreto. Forse attendono qualcuno a cui rivelare finalmente la via per fare della Spluga della Preta ancora una volta "l'Abisso" o forse hanno deciso che la Preta è bella così: fonda, impressionante, dura, con un solo ingresso; sorprendente, perché si apre minacciosa su un dolce prato e trascina con sé il nero della notte; bella, perché nei suoi pozzi si respira l'atmosfera di mille e mille esplorazioni, affascinante perché le sue gallerie fossili parlano una lingua antichissima fatta di pietre e sabbia; magica come una nera spada infissa nella roccia del Corno d'Aquilio.

La Spluga della Preta è stata oggetto di accurati studi geologici già a partire dal 1926. Molte sono state le teorie che hanno cercato di spiegare il meccanismo speleogenetico che ha portato alla formazione di questi imponenti vuoti all'interno della montagna. Le nuove scoperte del 2003 nella "Via Antika" portano a nuove interessanti ipotesi che troveranno conferma con studi specifici che si svolgeranno nei prossimi anni.

Interessantissimo è anche l'aspetto biologico. In questo abisso sono stati trovati esemplari di insetti troglobi (cioè che vivono solo in grotta) con adattamenti somatici al buio del mondo sotterraneo. Si tratta di veri e propri "fossili viventi" come l'Italaphenops Dimaioi, il più grande carabide cieco del mondo, scoperto nella Spluga della Preta nel 1963.

La Spluga della Preta è stata oggetto dal 1988 al 1992 di una impressionante operazione speleologica, l'Operazione Corno d'Aquilio, che rimane a tutt'oggi la più imponente spedizione ecologica in grotta mai realizzata al mondo. Sono state portate all'esterno quasi quattro tonnellate di rifiuti abbandonati nei precedenti decenni di pionierismo speleoleologico.  


La storia

Giugno del 1925, ottant'anni fa, inizia la storia esplorativa della Preta. Attraverso un sistema molto rudimentale, un gruppo di alpinisti viene calato nel primo pozzo dell'abisso, quello che poi diventerà il famosissimo "131" della speleologia italiana. Gli uomini della Sezione Universitaria del CAI Verona che parteciparono a quella prima esplorazione furono: Gianni Cabianca, Gino Cipriani, Luigi de Battisti, Dino Lanza, Gino Priarolo, Italo Vianini, Ferruccio Zanardi, Enzo Zanini.

Nella primavera del 1926 gli uomini del SUCAI tornano di nuovo nell'abisso esplorando il ramo del pozzo X e scoprendo il secondo grande pozzo, il 'Cabianca', un tubo profondo ben 108 metri. A questo punto, credendo di avere per le mani il nuovo record mondiale di profondità, coinvolgono l'ufficio propaganda del fascismo e il giornale "Il Popolo d'Italia" per organizzare una spedizione in grande stile. In tale occasione raggiungono la sommità del terzo pozzo, a una profondità di circa 300 metri. Ma all'esterno viene dichiarato che gli speleologi veronesi hanno superato i 500 metri di profondità, quel tanto che bastava per ottenere il nuovo record. La Spluga della Preta diventa ufficialmente l'abisso più profondo del mondo. Il suo nuovo nome è "Abisso Mussolini".

Nel settembre del 1927 si svolge l'ultima spedizione di questo periodo. L'ingegnere De Battisti scende fino al fondo del pozzo 88 e dichiara di essere giunto a -636 metri di profondità sul bordo di un lago le cui acque si perdono in una fessura insuperabile.

Con la scoperta dell'Abisso della Pierre Saint Martin in Francia la Spluga della Preta perde il suo primato di abisso più profondo del mondo. Gli uomini della Società Adriatica di Scienze Naturali guidati dal professor Maucci tentano di riconquistare il record con una nuova ciclopica spedizione. Gli speleologi triestini si spingono fino al limite De Battisti ma non riescono ad avanzare oltre. Scoprono invece che la profondità della grotta è molto minore di quanto era stato dichiarato nel 1927.

Cominciano le grandi spedizioni del Gruppo Grotte Falchi in collaborazione con molte altre associazioni speleologiche Italiane. Nel '58 il tredicenne Lorenzo Cargnel, figlio del capospedizione, riesce a superare la strettoia finale scoprendo la prosecuzione dell'abisso. Nei due anni successivi gli speleologi si trovano ad affrontare delle difficili fessure che rendono le discese molto impegnative. La più lunga (90 metri) viene superata solo nel 1960, scoprendo che al di là la grotta prosegue sempre più in profondità.

È l'anno della "Superspedizione Nazionale alla Spluga della Preta", probabilmente la più ciclopica spedizione mai realizzata in Italia. Partecipano moltissimi gruppi per un totale di oltre sessanta speleologi. Nonostante la grande quantità di mezzi la punta non riesce a raggiungere il fondo ma si ferma a -570 metri sulla sommità di un nuovo pozzo.

La spedizione delle "tute stracciate" finalmente raggiunge il fondo dell'abisso. Nove speleologi (che alla fine rimarranno solamente in sette), con una permanenza in grotta di quasi nove giorni, riescono a realizzare una delle imprese più affascinanti della storia speleologica Italiana. Il 10 luglio del 1963 il torinese Gianni Ribaldone e il bolognese Giancarlo Pasini toccano per la prima volta la "Sala Nera" a -875 metri di profondità. La Spluga della Preta diventa uno degli abissi più profondi del mondo, secondo solo al Gouffre Berger.

Il sistema che hanno usato per ottenere questo risultato è rivoluzionario: poche persone preparatissime e assolutamente indipendenti, senza campanilismi e megastrutture esterne. Pongono così le basi della speleologia futura.

Durante una nuova spedizione organizzata dalla Società Amici della Natura di Verona avviene un tragico incidente in cui perde la vita Marisa Bolla Castellani, una delle due speleologhe che da giorni aiutava i compagni nel campo base di profondità. Si tratta anche in questo caso di una spedizione ciclopica con permanenze in grotta di quasi due settimane.

Finalmente gli uomini Gruppo Grotte Falchi di Verona riescono a realizzare il proprio sogno raggiungendo il fondo dell'abisso. Guidati da Mario Cargnel i tre uomini di punta, Lorenzo Cargnel, Luciano Boni e il monfalconese Ugo Stocker, raggiungono la Sala Nera il 10 agosto del 1967.

Nel 1968 una spedizione composta da speleologi di diversi gruppi italiani scopre la Via Nuova, la prima diramazione di grandi dimensioni che si stacchi dal ramo principale. L'estate successiva si tenta nuovamente di raggiungere il fondo ma la squadra di punta, composta da bolognesi, faentini, veronesi e torinesi rimane bloccata da una piena a 620 metri di profondità, sotto il pozzo Torino. Dovranno attendere 42 ore e usciranno dall'abisso solo dopo una permanenza in grotta di quasi dieci giorni.

Nella prima metà di questo decennio hanno inizio le spedizioni di speleologi stranieri. Cominciano i belgi di Etienne Lemaire nel 1970, seguiti dagli inglesi nel 1972 e dai polacchi nel 1973. Le tecniche stanno cambiando, siamo al passaggio dalle scalette alla progressione su sola corda: nel 1974 i belgi ritornano in Preta insieme a Giovanni Badino e con le nuove tecniche riescono a raggiungere il fondo e a tornare fuori in meno di trenta ore, un tempo incredibile se si pensa ai nove giorni della spedizione del 1963.

La spedizione del 1975 dà il via alla polemica tra la FIE e la SSI per il diritto di accesso all'abisso. Nonostante proibizioni, tribunali e seri problemi burocratici gli speleologi continuano ad scendere nella grotta. Da ricordare la scoperta della Via Nuovissima nel 1978 e la mitica discesa nello stesso anno dei fratelli Burato: in due attrezzano e disarmano completamente la grotta raggiungendone il fondo, restando in grotta quasi una settimana.

Così intitolava l'articolo apparso su Speleologia per annunciare la scoperta del nuovo fondo della Preta. Grazie a un campo interno di più giorni, Franco Florio e Olimpio Fantuz raggiungono una finestra oltre la Sala Nera e scendono ancora, fino a -985 metri.

Ma è solo l'inizio di una serie di successive grandi esplorazioni: l'estate successiva una risalita alla base del pozzo Bologna porta alla scoperta del Ramo del Vecchio Trippa, mezzo chilometro di grotta strana e inaspettata, con un nuovo fondo indipendente a quota -800 metri.

Sono gli anni dell'Operazione Corno d'Aquilio guidata dal mitico Giuseppe Troncon. È un'avventura che coinvolge decine di gruppi speleologici Italiani, centinaia di speleologi, tutto questo per ripulire l'abisso da quattro tonnellate di rifiuti "speleologici" abbandonati nell'abisso durante le spedizioni dei decenni precedenti.

Oltre ad un nuovo rilievo della grotta e alle ricerche scientifiche, vengono compiute anche nuove importanti esplorazioni come la scoperta dell'Anello dei Suscettibili, la risalita dell'OCA selvaggia, il ramo del Teschio, il ramo del Mancino e, alla fine del 1993, la Fuga di Mezzanotte, nuovo fondo attivo a -730 metri.

Nel 2001 la Preta torna a far parlare di sé grazie all'impresa dello speleologo bresciano Matteo Rivadossi: in solitaria, utilizzando corde di 8 e 5,5 millimetri di diametro, riesce a raggiungere la Sala Nera e a risalire in poco più di venti ore, attrezzando e disarmando tutto l'abisso.

Nell'inverno 2003 riprendono le esplorazioni con la scoperta della Via Antika e del Baratro.

Le esplorazioni in queste zone non sono ancora terminate.

 

 

GIULIO BADINI

Ricordando un'impresa.

Appunti personalissimi sulla spedizione degli speleologi di Bologna, Faenza e Torino alla Spluga della Preta, luglio 1963.

"Nel dritto mezzo del campo maligno 

vaneggia un pozzo assai largo e profondo 

di cui suo loco dicerò l'ordigno." 

(Dante, Inf. XVIII)  

Primo pozzo

Vorrei non ammetterlo, vorrei chiamarla diversamente, ma il senso che mi predomina è paura. Nemmeno il gigantesco pozzo dell'Abisso Revel pur profondo più del doppio, è a tal punto impressionante. Sarà per la luce che penetra abbondante, che fa distinguere gli strati sporgenti come minacciose lame, o misurare i compagni piccoli piccoli, laggiù sul fondo. O sarà il sentirsi per la prima volta impotente, privo delle scale, appeso in questa campana irreale all'esile filo dell'argano che si perde nel bagliore, lassù.

Secondo pozzo

Al buio mi trovo a mio agio; se non altro il buio serve a nascondere la fatica dei tanti pioli che ancora mancano. E la parete contro il naso pare offrire protezione, quanto la corda sopra di me.

Triangolo

Si direbbe sia stato fatto apposta. Alla prima strettoia è passato tutto, fuorché quel sacco con le scatolette dei viveri. Farle passare ad una ad una, in quella posizione assurda, è come sgranare un rosario di imprecazioni.

Terzo pozzo

Per quello che ho finora visto in Preta o si sta in piedi nei pozzi o si è sdraiati in fessure. Sembra non siano contemplate altre posizioni.

Campo base

Tre metri per due sono pochi per nove uomini e trenta sacchi; soprattutto per vivere! nove giorni. Sopra è il pozzo, davanti solo una strettoia: di necessità virtù. Mangiare, dormire, cambiarsi, frugar nei sacchi, cucinare, carburo, scale, sacchi pelo, fango, bussole, scatolette, acqua, tute, orina, minestrone, in tre metri per due. Eppure verrà il momento che lo sogneremo come un Eden. E riusciremo anche a dormirci, seppur di taglio, ventiquattro ore filate.

Fessura fondo SUCAI - Sala dei Cristalli

Tutti parlano della strettoia maggiore, la malefica che divide in due la Preta e i suoi esploratori. Nessuno parla della fessura alla base del terzo pozzo, quella del campo base. Per me non ha molto da invidiare all'altra. Col pensiero a cosa ci aspetta più avanti la si sottovaluta, e regolarmente ci si incastra. Quando l'ho presa bassa, quasi sull'acqua fetida, mi sembrava di aver sopra un'autostrada; quando l'ho presa sopra, l'autostrada doveva essersi trasferita altrove. Solo molto dopo seppi che qualcuno v'era rimasto incastrato per ore. Eppure la chiave per passar meglio deve esserci. Io non l'ho trovata. Il peggio era al ritorno. Arrancare ormai sfiniti per quadagnare qualche centimetro, vedendo a pochi metri chi ci ha preceduto sorbirsi un thè caldo entro il sacco pelo. Tantalo non deve aver provato di peggio.

La strettoia

Avevamo cominciato, settantasei metri prima, col dire che forse si era esagerato. Disagevole si, ma non impossibile. Man mano che avanzavamo le parole calavano: il fiato serviva altrimenti, per spingere il sacco davanti alla testa o per tirare coi piedi quelli dietro. Ma il bello veniva adesso. Giungere li già spompati dopo ottantasei metri da far invidia ai vermi e sentire gli smergoli di chi - fisicamente più idoneo - vi è alle prese, non è incoraggiante. Tre posizioni in un metro - di fianco di pancia - di fianco - sono troppe per chiunque. Vorrei essere un contorsionista. Tento o non tento? Sei mesi di preparazione e di sacrifici, una reputazione, tante scommesse sono in ballo. Almeno fino al limite Cargnel debbo farcela. Si può rinunciare prima di avercela messa tutta? E se poi mi incastro? Il caso o la consapevolezza hanno fatto sì che fossi l'ultimo. Sento parlare gli altri, di là. Dicono che non è poi così difficile. Le voci ancora ansimanti tradiscono la bugia. Un attimo fa non la pensavano così. Ora o mai più. Via il casco, via tutto dalle tasche, via anche quello che è rimasto delle tasche, tanto non giungerebbero mai di là. Avanti. Maledetta. Ora a sinistra. Manca il fiato. Troppo a sinistra, indietro un passo. Anche lo scarpone si è incastrato. Strappati tuta. Un attimo che respiro. Fin qua è fatta, ma se mi incastro? e se non riuscissi a tornar indietro? Calma. Ma perché quaggiù? Con tanti spazi liberi, l'infinito. Se non altro so che non soffro di claustrofobia. Di qua forse è meglio. Avanti ancora. Accidenti ad essere al buio. Eccoli. E ora ancora di fianco. Per Giove, ma qua è più stretto. Dai. Datemi una mano. Dai. Se tiene la cassa toracica passo. Haia. Finalmente. Se esiste uno shock della nascita, io l'ho provato almeno due volte.

Pozzo Fontane

Dalle pareti escono ingenti fiotti d'acqua che si mischiano per proseguire con un comune destino verso l'ignoto, verso il quale anche noi stiamo andando.

Sala Faenza

Dopo lungo penare in uno stretto meandro semiallagato, Sala Faenza ci appare ancor più ampia. Per vederla bene occorrerebbe qualcosa di più dei nostri fotofori. Ma non intendavamo con questo che Leoncavallo desse fuoco all'intero sacco del carburo (in realtà lo scoppio fu accidentale, in quanto il collega si avvicinò inavvertitamente col fotoforo acceso sul casco al sacco da cui, bagnatesi nel trasporto, fuoriusciva acetilene, provocando la combustione e rimanendo ustionato al viso in modo abbastanza grave, soprattutto a quella profondità).

Sala Bertola

In questa bella cavernetta a 619 metri di profondità (bella relativamente a questo abisso che non fa molte concessioni all'estetica), in questo geode d'alabastro violato per la prima volta, ha termine la mia Preta. La fredda programmazione dell'impresa mi ha assegnato un altro compito, ingrato forse, ma indispensabile come gli altri per il buon esito. Pozzo Torino, Pozzo Bologna, Galleria Verde e giù giù fino a -886 metri, fino al fondo, li conoscerò solo attraverso il racconto di Pasini e Ribaldone. Ma la vittoria di uno è la vittoria di tutti, anche di coloro che vegliano e trepidano, forse più di noi, in superficie. Come la nostra vittoria è la vittoria di tutti coloro che, dal lontano 1925 in poi, ci hanno faticosamente preceduto in questa ostica voragine.

Sala Faenza

Esaurito il rilevamento, il compito mio e di Babini è di attendere il rientro della squadra in questa sala per assicurare la risalita sul Pozzo del Chiodo. Di Maio e Pavanello stazionano sul Pozzo Torino, Canducci sul Pozzo Bologna. Saranno per tutti le peggiori ore trascorse in grotta. Un giorno intero completamente bagnati, stanchi per le oltre trentasei ore di tirata continua, con temperatura di pochi gradi, a corto di viveri e senza orologio, al buio per risparmiare carburo, ad attendere, attendere. Quando la stanchezza ci vinceva, era il frenetico battere dei denti a svegliarci. La speranza congiurava contro i sensi già allentati: ogni gorgogliare della cascata ci faceva scattare in piedi, illudendoci di aver udito voci amiche dall'ignoto. Detta ora così mi appare come la più assurda delle sciocchezze ma - di fronte all'ingente ritardo - per non pensare al peggio abbiamo più volte accarezzato l'idea che avessero trovato uno sbocco all'esterno . . .

Campo base

Nonostante il lusinghiero risultato, non c'è festa al campo, anche se stiamo per abbandonarlo. Siamo ormai senza viveri, bagnati, stracciati, doloranti e stiamo tirando già da ventotto ore per recuperare il materiale da oltre fessura. Dovremo ancora tirare, senza soste, fino all'esterno. Ormai la stanchezza ci ha ridotto ad automi.

Sommità terzo pozzo

II compiuto recupero di trentun sacchi in questo salto ha cambiato radicalmente il nostro morale: anche se stiamo sgobbando da trentacinque ore, sentiamo che siamo già vicini all'epilogo. Un po' di carne in scatola e una canta in certi momenti riescono a far miracoli.

Secondo pozzo

La fune di sicura (o di tiro?) non mi è ora meno utile di quanto non lo fu a suo tempo il cordone ombelicale. Facendo appello alle ultime briciole di volontà e di energia, salgo piolo dietro piolo al ritmo dei compagni. L'immagine di quella scala è impressa nella mia mente come un binario di ferrovia che dal nulla viene e nel nulla sparisce.

Primo pozzo

Non ho problemi o remore di sorta ad entrare nell'imbracatura dell'argano; i timori e le sensazioni della discesa sono completamente svaniti. Poscia, più che l'dolor, potè'l digiuno. Unico dominante, quasi una bramosia, era il pensiero che tra pochi minuti si sarebbe conclusa la nostra lunga notte di centonovantadue ore, nove giorni nelle viscere della terra per svelare il mistero di quella che era la più profonda voragine d'Italia e la seconda del mondo, un K2 alla rovescia. Mai come allora seppi gustare l'accarezzante calore del sole, l'inebriante profumo dei pollini o l'abbacinante colore dei prati verdi: dopo quarantasette ore filate di tirata la stanchezza sembrava scomparsa come l'incanto, per poter godere di questi semplici ma inalienabili e preziosi doni della Natura.

(tratta dal sito splugadellapreta.it)